A Boba Morto #3: Giovanotti indisponenti con le vespe scuppiettanti
Come disturbare la pubblica quiete: Book of Boba Fett 1x03 e un fandom di piangina.
Ho dovuto fare dieci minuti di meditazione, prendere settemila gocce di fiori di bacta e astenermi da sostanze psicostimolanti per mezza giornata prima di scrivere questo pezzo.
Vado subito al sodo. Non è episodio particolarmente ben fatto, e non per le ragioni per cui tutti i piangina di Star Wars Twitter e dintorni credono.
Forse limitato dall’altissimo grado di previsualizzazione ormai parte integrante del workflow delle serie Filoni/Favreau e/o proprio in virtù del dover rimanere fedele a una certa grammatica che forse non sa gestire del tutto in modo disinvolto, Robert Rodriguez sembra aver dimenticato come si dirige una scena d’azione in modo efficace. Per ben due volte. Coreografie farraginose, movimenti di macchina artritici, montaggio verboso, comparto musicale arrabattato. Onesti, col senno di poi giá The Tragedy aveva questi problemi e di sicuro Stranger in a Strange Land. Se c’è un uomo a cui probabilmente non va affidato un musical al giorno d’oggi, è lui.
La scrittura. E qui al posto del caro Favreau di Iron Man si è palesato l’Iron Man 2. Certo, The Book of Boba Fett passa da quest-samurai-movie a Godfather-meets-Trilogia-del-Dollaro ma il framework formale deve (o dovrebbe) muoversi secondo un criterio di economia, qui viene buttato fuori dalla finestra dai repetini cambi di focus/prioritá della storia decisamente poco giustificati dall’intreccio, l’usura di certi meccanismi (il continuo ricorso al bacta come cornice dei flashback diventa improbabile se non viene giustificato) e dai repetini shift motivazionali dei personaggi (possiamo ancora sperare in una spiega a posteriori?). Insomma Jon, qualche draft in più questo copione lo meritava.
Qualcosa non quadra a livello di effetti, design o color attorno a quelle motorette scuppiettanti. Del design parlerò fra poco, anche se dovrebbe esserci poco da discutere quando il capo del production design era allievo di Ralph McQuarrie e ha imparato tutto da George Lucas. Della color e della fotografia in flessione plasticosa da Rodriguez possiamo parlare per sempre, ma lo showrunner non siamo noi e viene davvero da pensare che cosa sia andato storto in una pipeline cosí rigidamente controllata come quella del Filoniverse.
Questi i veri problemi dal mio punto di vista piccino picciò.
Ovviamente con Star Wars non può esistere fare una puntata sotto standard rispetto alle altre senza che partano noiosissime crisi isteriche che si concentrano sul proverbiale dito senza considerare la luna, che, altrettanto proverbialmente, anche in questo caso è in realtá una stazione spaziale. É avvilente assistere in prima linea alle grida di una minoranza scalmanata che si arroga il diritto di giudizio finale su cosa o non sia Star Wars, su cosa sia o non sia accettabile vedere in ogni momento dell’IP, con annesso litmus test di pertinenza allo spirito originale della saga (spesso piuttosto vago nei contorni). Ormai dopo la seconda visione sto cominciando ad adorare i difetti di questa serie e puntata solo in virtù del fatto che qualcuno si senta cosí inutilmente/intimimente offeso da scelte opinabilmente non riuscite, ma palesemente giustificate.
Godersi una cosa in teoria divertente e appagante come Star Wars sta diventando una gigantesca fatica emotiva.
Perchè la corsa all’indignazione o all’esaltazione hanno preso il posto di qualsiasi altra cosa: la legittima passione che ci guida è diventata il fuoco sacro che anima uno spirito critico egocentrico, oppure la gara a chi si commuove e dá più pugni al muro. La prossima frontiera del reaction video saranno le ferite autoinflitte e poi le stimmate, lo penso sul serio. E lo penso perché anche qui, come in duecentomilioni comportamenti dei nostri io digitali, la merce di scambio non é più la passione; sono le nostre opinioni e quindi noi stessi. Non possiamo lamentarci di essere schiavi degli algoritmi se ci comportiamo esattamente come loro vogliono che ci comportiamo.
Se lo Star Wars Disney ha fatto molto poco (e quando l’ha fatto, l’ha fatto soprattutto in aree come letteratura e fumetti dove si riesce ancora ad agire relativamente indisturbati), è anche a causa dell’impossibilità di creare una relazione costruttiva con una parte dell’audience di riferimento costantemente in trincea. Se ignorare e andare avanti è una risorsa creativa a cui gli artisti/creatori possono e probabilmente devono attingere, d’altra parte le bibbie, le guideline, le regole che creano un universo narrativo stanno diventando gabbie elettrificate - e chi le tocca o prova a giocarci finisce per esserne distrutto.
Sapete chi è stato la prima vittima di questo meccanismo? George Lucas.
Sapete chi sarà la prossima vittima di questo meccanismo? Il venerabile Jon Favreau.
Perchè nel momento in cui, come già in realtà è successo, verranno a galla i limiti strutturali di The Mandalorian (uno su tutti, il giocare con elementi per lo più derivati) e la necessitá di allargare lo spettro, verrá a galla la volontá di raccordare tra trilogie (e quindi di implicito riconoscimento di quello che ora i più scalmanati non vogliono riconoscere), verranno a galla anche i limiti di Jon Favreau sceneggiatore.
E la folla “grazie Jon Favreau che ci hai restituito l’infanzia”, “Jon Favreau dio in terra” eccetera capirà fatalmente di non aver capito nulla.
Il paragone è improprio, ma se gli ultimi anni di terrorismo internazionale e polarizzazione politica e dialogo su valori identitari e diritti umani ci dovrebbero aver insegnato qualcosa è che i concetti pilastro della nostra societá vivono in un dialogo costante, in una tensione di principi astratti verso la loro applicazione concreta. Se la loro difesa comporta una cristalizzazione, é necessariamente una sconfitta e un tradimento (Curiosamente, è la stessa storia che racconta Star Wars). Una cosa frivola come Star Wars è piagata allo stesso modo da un drappello di nostalgisti a oltranza che hanno tracciato un perimetro/termine di paragone e l’hanno eletto non tanto a canone-nel-canone, neanche unitá di misura di qualità/validitá, ma proprio dogma. Un dogma in certi casi che trasfigura la cosa adorata con il potere elevatore e traditore della memoria e della nostalgia.
E cosí una stupenda storia per dodicenni di padri, figli e stregoni spaziali che difendono la democrazia e l’altruismo diventa l’amplificazione e distorsione a oltranza delle cose che ci hanno più solleticato la fantasia da bambini. E nient’altro.
Se questo perimetro è cosí sacro, se la continua morte e resurrezione della propria infanzia attraverso il simulacro di Star Wars, se lo sguardo ombelicale dev’essere l’unica forza motrice, allora tanto vale rimanere impervi al nuovo e lasciarlo a chi ha uno sguardo più aperto, probabilmente?
RIASSUNTO DELL’ARGOMENTAZIONE PRECEDENTE
Perchè c’è gente che deve sempre cagare il cazzo?
VESPE TRUCCATE, ANNI 60
Potrei mostrarvi questa immagine e non aver bisogno di argomentare, ma mi tocca farlo comunque.
Il ragionamento delle motorette e dei cosi robottosi è molto semplice:
Siamo in un’epoca di ricostruzione economica in tutta la galassia, ma soprattutto in un posto desolato, remoto e noioso come Tatooine (esattamente come Modesto, California, e i nuovi centri urbani nel dopoguerra ingles).
I valori cambiano, i giovani disorientati esprimono la loro ribellione attraverso i motori e look distintivi.
Come ci insegna la cultura grime e trap dei giorni nostri ma anche un po’ Gomorra, i giovani del buon vecchio proletariato sono disposti a spendere soldi che non hanno (o che hanno da attivitá illecite) pur di sfoggiare qualcosa di se stessi (e infatti il Mod con l’accento inglese dice che è mega orgoglioso del suo occhio, che l’ha pagato un sacco).
Rodriguez, Favreau, Chiang creano questo contesto e dicono: come lo distinguiamo dal futuro usurato di cui fa parte Star Wars? Ribaltandolo, rendendolo un passato scintillante - un passato che nell’universo diegetico sono i veicoli di gran moda su Coruscant 30 anni prima, ma che nel nostro universo sono i parossismi della cultura Mod e delle macchine modificate di American Graffiti.
Potevano essere integrate meglio? Probabilmente. Potevano essere realizzate scenicamente meglio, vista la loro goffaggine e lentezza ancora più goffamente camuffata dal cambio di frame rate in alcune sequenza? Sì. É in questi casi che maledico il giorno in cui la gente si è cominciata a riempire la bocca su quanto sia stronza la CGI. Perchè qui avrebbe solo risolto problemi.
BYE BYE MISS AMERICAN PYKE
Veniamo al sodo della puntata.
Dopo avercelo fatto annusare un po’ nella puntata precedente, scopriamo che il principale problema di Boba sono ed erano i Pyke. Che siano loro i veri mandanti dell’ecatombe all’accampamento Tusken? O hanno semplicemente lasciato che accadesse?
E ora che gli Hutt sono (o sembrano essere, chissá cos’hanno in mente) fuori dai giochi, i Trandoshani (ecco risolto il perché erano ovunque nella puntata precedente, sono i boss del centro di Mos Espa), i Klaatoniani e gli Aqualish con chi si schiereranno? E perché per forza con quello che cavalca un rancor (e che forse può trascinarsi un gladiatore liberato, un amico con l’armatura in beskar e un altro che l’armatura in beskar l’ha ceduta)?
E soprattutto: cosa vogliono i Pyke da una roccia senza valore come Tatooine? Abbiamo sentito molto parlare delle cause della sua desertificazione, e abbiamo intuito che i Pyke controllano Mos Eisley e probabilmente altri territori. Che abbiano un piano di sfruttamento planetario simile a quello di Kessel?
E cosí ci avviciniamo a grandi passi verso la fine.
Nel frattempo, guardate i vostri cari come Danny Trejo guarda un rancor.