Nel nome del padawan
"Ahsoka tu, ma non dovevamo rivederci più" parte 3, ovvero la Morte e Resurrezione di Dave Filoni.
Poche cose sono rassicuranti come la scrittura di Dave Filoni, e questo crucialissimo quinto episodio di Ahsoka non fa alcuna eccezione. Eppure, parallelamente alla “sua” Ahsoka, anche Dave affronta i suoi demoni creativi in questo Shadow Warrior.
Abbiamo già parlato di quanto tutta questa operazione possa essere l’innesto di una nuova marcia per tutto la (sigh) IP, ma non dimentichiamo che queste otto puntate sono il frutto di oltre quindici anni di addestramento per Dave Filoni - e non (o almeno, non solo) per diventare l’erede dell’Impero, ma soprattutto per realizzarsi come un filmmaker fatto e finito.
Cresciuto sotto l’ala di George, rifinito con Abrams, Johnson e Edwards, maturato con Favreau, Dave deve spiccare il volo e cercare di cadere col culo su una Millennium Falcon di passaggio.
L’apparizione di Anakin non è quindi solo il pieno ritorno di un attore redento dal tempo, non è solo la chiusura del cerchio per la protagonista della serie, ma per Filoni è venire a patti con il proprio Maestro e dimostrargli/si che quello slot cinematografico nel 2026 non è frutto di investitura divina, ma di un lungo meritato apprendistato.
RIEDUCAZIONE SENTIMENTALE
Sempre sul nostro Prescelto preferito.
L’Anakin che abbiamo visto è quindi sicuramente uno spirito della Forza. Anche se non è stato lui a portare fisicamente Ahsoka nel Mondo tra i Mondi - non è chiaro dalle circostanze, ma sembra che Ahsoka sia in una specie di coma mentre il suo corpo viene sballottato tra le onde - questa da sola è una conferma della validità del lungo rant di settimana scorsa. Il fatto stesso non si perda tempo a definire cause, morte e miracoli di questo luogo dell’anima è un’indiretta conferma che, per quel che ci riguarda, quella è la Forza. E in/con essa ogni cosa è possibile, anche chiudere un retaggio durato decenni in poche ore.
Le capacità di Anakin sono infinite ora, trascendono spazio e tempo così tanto da diventare una lezione pratica invece di un exposition dump. In pieno stile Skywalker, si impara sudando: prima il duetto è in fior di spada laser, ed è qui che Filoni dimostra di nuovo (dopo episodio 3) di aver trovato una dimensione oltre il didascalismo, di usare l’azione come motore del racconto filmico, come persino il suo maestro Lucas aveva un po’ dimenticato negli ultimi exploit.
Ahsoka casca e si perde nel proprio passato con la consapevolezza del presente. È un passato acutamente doloroso ma allo stesso tempo indefinito, una chance per ri-imparare a dimenticare. Per questo, sembra, le due scene “catartiche” della giovane Ahsoka sono cosí sospese e focalizzate sulla padawan e il suo maestro - i luoghi sono indefiniti, gli altri volti non chiari. Non si sta tornando indietro nel tempo, caro spettatore, stiamo imparando da esso. Filoni stesso sta tornando all’inizio del suo apprendistato, probabilmente troncato dalle dinamiche societarie di Lucasfilm e Disney e dall’allontanamento di George Lucas, e rivedendo le lezioni apprese sotto la luce delle sue nuove responsabilità e quanto appreso nel frattempo. Forse questo è davvero l’inizio di qualcosa di nuovo e un commiato dal passato.
Qui una parentesi: chiaro che ci siano motivi diegetici dietro al risparmiarsi qualche milionata in design e rendering per gli sfondi su Stagecraft, e di cachet e de-aging per Temuera Morrison, ma il disagio serpeggia durante le sequenze della catarsi/flashback/auto-rincarnazione di Ahsoka. Forse The Clone Wars in live action meritavano qualcosa di più.
La lezione per Ahsoka è riabbracciare imparare che non può staccarsi dal mondo - dalla Forza vivente? meglio? -, che prendersi la responsabilità delle proprie azioni non significa essere travolti dalle loro conseguenze o ignorare le contingenze che le rendono necessarie.
Insomma, che si deve vivere.
Dall’altra parte, il grande Spirito della Forza Anakin Skywalker è un essere trascendente quanto umano: nel riaccedere a Darth Vader (for the sake of teaching) riconosce la sua storia, non allontana quello che è stato il suo più grande peccato.
LA BIANCHEZZA DI AHSOKA
Ahsoka è morta grigia. Ahsoka rinasce bianca.
E poi va a cavalcare le balene intergalattiche. Melville sarebbe orgoglioso.
Recuperata (anche grazie alla forza) da Jacen, Chopper e Hera - insomma, salvata dal nucleo familiare di Rebels di Filoni, perchè Star Wars è sempre about families -, Ahsoka ha trasceso: la sua resurrezione porta con sè una comunione/consapevolezza della Forza più pura che mai.
Con essa, riaccede ai suoi vecchi poteri di lettura degli oggetti, entra immediatamente in comunicazione con i Purgill, e trova subito la via per Peridea.
Come Gandalf alla riconquista di Rohan, questa Ahsoka rinnovata inizia a gettare i semi della vittoria - sempre che i burocrati di sfondo non inciampino su se stessi e tradiscano questo percorso. E torniamo qui al finale di Rebels, alla prima visione di Ahsoka la Bianca che abbiamo mai avuto - al flashforward all’epoca parzialmente rivisto sul finale di episodio 2.
Che Dave ci stia preparando a qualcosa di radicalmente nuovo una volta raggiunta la nuova galassia?
Beh, non credo proprio - ma è bello illudersi perchè alimenta la rabbia e la frustrazione che ci tiene uniti come fandom. Evviva!
Alcune cose bollono in pentola per questo Substack, e lo dico perché potreste essere voi, unici a leggere queste righe, a chiedermi conto di questo teasing. Nel frattempo siamo a tre settimane tre dalla fine della serie, e, a prescinder dalle sorprese, i colpi di scena, e le potenziali delusioni che ci aspettano, per cui godiamocela finchè questa costanza dura.
Nel frattempo…